L’occhio maligno dell’invidia

Nella parabola di questa domenica Gesù racconta di un padrone di casa che esce all’alba per prendere a giornata lavoratori per la vigna accordandosi per un denaro, la paga quotidiana all’epoca considerata più che equa.

Esce di nuovo alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque quando oramai il sole sta per calare e la giornata di lavoro sta per finire; ogni volta invita nuovi operai. A sera inizia a pagare tutti, a partire dall’ultimo arrivato, al quale consegna un denaro. Quando arriva il lavoratore della prima ora pensa di ricevere di più, ma avuto anche lui un denaro va via mormorando.

A dire il vero il padrone non fa ingiustizia perché dona al primo quanto pattuito e, soprattutto, quanto previsto per una paga più che equa. Nella sua libertà, invece, vuole essere buono con gli altri dando più di quanto meriterebbero. Il riferimento è chiaro alla misericordia di Dio nei confronti di tutti noi, operai dell’ultima ora.

Di fronte alla mormorazione del primo lavoratore il padrone risponde: “Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?“.

In verità nel testo originario greco l’ultima frase è: “Oppure hai un occhio maligno (ponêros ofthalmos) perché sono buono?“.

Ecco cosa fa l’invidia, ci rende l’occhio maligno.

Quando siamo appestati dal morbo dell’invidia i nostri occhi diventano maligni
– perché il cuore è impossessato dal desiderio di fare del male, denigrare, calunniare, criticare gli altri e le loro azioni per sminuirle davanti alla gente.
– perché ci impediscono di vedere le cose positive. Anche il bene fatto dagli altri appare come male.
– perché tutto ciò che ci capita ci rende tristi. Pure i momenti più belli si tingono di amarezza.

Don Michele Fontana